sabato 4 ottobre 2014

Domanda di un paziente: ha senso la Riabilitazione Neurocognitiva nella patologia dolorosa del rachide?

Buonasera,
ho 32 anni e da circa 6 anni soffro di lombosciatalgia per la presenza di protrusioni discali a livello D12-L1 e L4-L5. Fino a qualche tempo fa mi veniva il dolore alla parte lombare della schiena ma non era così limitante tanto da dovermi fermare. Bastava fare delle punture di Voltaren e Muscoril e il dolore mi passava piuttosto facilmente. 
Ho fatto recentemente una nuova risonanza dove non sono stati riscontrati peggioramenti significativi, ma da circa un paio di mesi il dolore sembra peggiorato e a volte si espande anche all'attaccatura della coscia. Quando mi prende, sento come una morsa sul fianco e sulla schiena. Mi sento tutta la schiena come un blocco, soprattutto quando cammino. 
Ho seria difficoltà a stare in piedi, mentre seduta va un po' meglio anche se il dolore si sente lo stesso. Addirittura, quando sto seduta mi sembra come di "cadere" sulla parte destra. 
Anche quando non ho dolore, chi mi guarda mentre cammino o quando sto seduta, mi dice che assumo una postura tutta storta. Ultimamente mi sono accorta che i farmaci non riescono a darmi più tanto sollievo come prima.
Pensa che un intervento di Riabilitazione Neurocognitiva possa essere utile al mio caso?



Salve,
anche nella patologia del rachide il dolore può essere espressione di una alterata coerenza fra le diverse modalità informative e quindi emergere come richiamo attentivo da parte del cervello verso quelle parti del corpo con una alterata percezione.
Essendo l'uomo un sistema con una sua specifica organizzazione, capace di riorganizzarsi in seguito ad una perturbazione (la patologia e la conseguente alterata informatività della superficie recettoriale corporea), ecco come emergono "comportamenti viziati" tipo la sua schiena che diventa come un blocco o la sua tendenza a cadere verso destra quando è seduta.
Il corpo, inteso come superficie recettoriale, per conoscere deve potersi frammentare, ovvero rendere indipendenti le sue diverse parti nelle diverse direzioni dello spazio. La schiena "come un blocco" rappresenta l'incapacità del tronco di potersi frammentare e quindi di poter costruire determinati tipi di informazioni attraverso la superficie recettoriale corporea.
 
E' interessante quando dice che le viene detto di assumere "una postura tutta storta" anche in caso di assenza di dolore. Questo può essere spiegabile dal fatto che il Sistema Nervoso cerca di provvedere ad organizzare il movimento comunque mediante quelle "sensibilità" indenni, cercando di soddisfare quella aspettativa di movimento priva di dolore. Ciò comporta una nuova organizzazione del corpo, proprio per non sentire dolore, che si manifesta con quella che lei chiama "postura storta".

Mi chiede se può essere utile un approccio neurocognitivo al suo problema. Ovviamente si. 
Il problema non è quello di modificare meccanicamente il corpo mediante trazioni e stiramenti, quanto riapprendere la capacità di conoscere (quindi di percepire) attraverso il frazionamento della superficie recettoriale corporea.
Il "mentale" è strettamente legato al "corporeo" e sarà possibile modificare il proprio corpo (e quindi la condizione dolorosa) mediante l'attivazione dei processi cognitivi.

Tornare a percepire e a sapersi rappresentare correttamente il proprio corpo, le sue relazioni fra le varie parti e quelle col mondo esterno, fare attenzione a determinati "comportamenti" motori, mira a  ricreare quell'unità mente-corpo alterata dalla sua patologia.
 

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