martedì 1 luglio 2014

Fino a quando è possibile il recupero dopo una lesione cerebrale?

Uno fra gli interrogativi più frequenti nell'ambito riabilitativo è quello relativo alla durata del recupero e della riabilitazione in seguito ad un danno cerebrale.
Un episodio vascolare, traumatico o di natura compressiva (pensiamo alle neoplasie) può determinare la morte di alcune cellule del tessuto nervoso, riducendone e/o alterandone l'attività nel suo complesso.
Questo potrà comportare una alterazione nel modo di attivare i processi cognitivi e quindi del comportamento (motorio e non).
 
In letteratura sono diverse le argomentazioni in merito ai tempi di recupero.
Ci sono autori che ritengono che il movimento non si manifesti prima dei sei mesi dall'evento lesivo, mentre altri sostengono invece che dopo un anno dalla lesione si sia ottenuto il massimo del recupero e quindi il trattamento riabilitativo diventi più una attività attraverso la quale mantenere quanto acquisito sino ad allora.


C'è da dire innanzitutto che il recupero inizia già spontaneamente da dopo la lesione e questo è l'espressione da parte del sistema Uomo della necessità di mantenere una organizzazione (quella che F. Varela chiama autopoiesi) in seguito ad un evento che ne ha perturbato l'equilibrio.
Quello che il medico inquadrerà come sequela della patologia, perciò,  non sarà altro che una espressione di una nuova organizzazione del sistema. 
E' qui che mi preme sottolineare il ruolo importante e delicato del riabilitatore che deve intervenire per guidare i processi di recupero e quindi la riorganizzazione del sistema.
 
Soffermiamoci un attimo su ciò che succede da un punto di vista biologico.
Inizialmente il danno appare sempre maggiore di quello che è effettivamente e ciò rientra in quel periodo nel quale il sistema si trova in diaschisi, che potremmo definire come una condizione nella quale vengono ad essere inibite strutture connesse con le aree lese al fine di evitarne un sovraccarico di informazioni al momento non più gestibili (ad esempio in caso di lesione di aree sensori-motorie, alcuni studi hanno rilevato una inibizione del talamo omolaterale e del cervelletto controlaterale).
In questa fase le cellule nervose si trovano in una condizione di ipoeccitabilità ed è anche per questo, oltre a condizioni di edema in prossimità della zona lesa, che i deficit che si osservano sul paziente risultano maggiori.
Teniamo presente che la diaschisi in alcuni pazienti può perdurare anche per lunghi periodi e/o in altri per sempre.

Nel momento in cui il sistema inizia a riorganizzarsi, ci si trova in una fase di ipereccitabilità, nella quale iniziano a crearsi connessioni a partire da circuiti nervosi più semplici.
Capiamo bene come sia importante l'intervento del terapista per guidare il processo di recupero ed evitare che il paziente sfrutti circuiti elementari per organizzare il movimento.

La fase di ipereccitabilità è seguita da una di normoeccitabilità nella quale abbiamo il ripristino di una conduzione nervosa a livelli fisiologici, che non vuol dire assolutamente ripristino delle relazioni fra le diverse strutture lese come nel periodo antecedente alla lesione!

Dopo aver preso brevemente in esame quanto succede a livello cellulare, volendo tornare ad affrontare il recupero in maniera più ampia, considerando il recupero come un processo di apprendimento e mantenendo una visione sistemica dell'uomo, possiamo affermare che in quanto esseri viventi siamo sistemi in continuo apprendimento e quindi abbiamo una continua capacità di poterci modificare.
Il compito del riabilitatore sarà quello di guidare il processo di recupero cercando di far apprendere al paziente quelle strategie che gli consentano di avere una adeguata interazione col mondo attraverso la superficie recettoriale corporea.

Arriverà un momento, però, nel quale non osserveremo più significative modifiche nel paziente e questo potrà essere espressione del limite delle capacità riorganizzative.
In merito a ciò, l'entità della lesione ha notevole importanza in quanto primo elemento responsabile circa le possibilità di recupero.

Alla luce di quanto detto sinora, mi sento di dire quindi che non c'è un tempo preciso e generico da individuare per il recupero in quanto se, come ho affermato prima, vogliamo osservare l'uomo come sistema, ci sarà recupero fino a che ci sarà una riorganizzazione significativa del sistema.







 
 
 
 
 

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