venerdì 27 dicembre 2013

Riflessioni su alcuni concetti in merito all'Immagine. Immagine Motoria o Immagine dell'Azione?

Il concetto di Immagine è ormai studiato da diversi anni in ambito neurofisiologico.
Sono numerosi gli studi che da più di venti anni hanno cercato i correlati tra attivazione cerebrale durante un movimento e l'immaginazione dello stesso. Addirittura è stata riscontrata una diversa attivazione cerebrale in funzione della modalità dell'Immagine elaborata.
Fra i primi studi sull'Immagine, infatti, annoveriamo quelli sulla Visual Imagery (Immagine Visiva) mediante i quali è stato possibile evidenziare come nell'atto di osservare e nell'immaginare di osservare, si verifichi una attivazione analoga di quelle aree cerebrali deputate alla elaborazione dell'informazione visiva.

Altrettanto importanti, nonché più pertinenti all'attività riabilitativa, sono stati quegli studi che hanno messo in evidenza una corrispondenza di attivazione di aree senso-motorie (variabile in base alla metodologia di indagine strumentale) durante l'esecuzione di un movimento e l'immaginazione dello stesso. Questo tipo di Immagine è stata definita Motor Imagery (Immagine Motoria, appunto).

In alcuni recenti articoli scientifici si è iniziato a parlare di Kinaesthetic Imagery (Immagine Cinestesica). Se con questa "terminologia" la neurofisiologia inizia a sottolineare l'importanza delle informazioni nell'organizzazione di un "motorio", allo stesso tempo sappiamo ormai come la conoscenza del mondo e l'interazione con esso avviene mediante diverse modalità informative (il tatto, la pressione, la vista, il peso...) e non solo mediante la cinestesi. Per tale motivo, allora, forse sarebbe più completo parlare di Immagine Somestesica.

Già nel 1996 Decety definiva l'Immagine come“uno stato dinamico durante il quale un soggetto simula mentalmente una determinata azione. Ciò implica che egli senta sé stesso che esegue una determinata azione”.

La Riabilitazione Neurocognitiva, negli ultimi anni sta cercando di sottolineare maggiormente l'importanza del concetto di Azione piuttosto che di movimento, volendo così mettere in risalto non solo gli aspetti sensoriali, cognitivi e fenomenologici di un gesto, ma anche quelli più soggettivi legati all'esperienza vissuta, incorpata, personalizzata, .
Visto ciò, capiamo bene come forse sarebbe più opportuno parlare di Immagine dell'Azione che, provando a definire, potremmo considerare come la capacità di immaginare se stesso vivere una determinata esperienza,  tenendo conto di aspetti sensoriali, cognitivi, fenomenologici, legati al contesto e specifici per quella azione. 
Ecco come il concetto di Immagine si arricchisce sempre di più e si rivela sempre più specifico come strumento all'interno di condotte terapeutiche utili a guidare il processo di recupero del malato di quelle determinate azioni ormai alterate dalla patologia. 

Definendo l'Immagine come Strumento dell'Esercizio, asseriamo che il suo utilizzo consente di far ottenere delle modifiche nel malato, consentendogli di modificare determinate "idee del cervello" affinchè emergano comportamenti più evoluti. Considerando la stretta relazione fra mente e corpo e quindi fra pensiero e biologia, allora modificare delle "idee", delle rappresentazioni del corpo e del movimento, vuol dire anche modificare determinate conformazioni neuronali.
A tal proposito, è interessante citare come diversi studi abbiano dimostrato che la richiesta di elaborare delle immagini all'interno di dinamiche di apprendimento, consenta di modificare la rappresentazione del nostro corpo in corteccia in maniera analoga ad un compito nel quale si richiede di imparare una attività (Pascual-Leone et al. 1995). Questo ci fa capire come mediante l'utilizzo dell'Immagine sia possibile apprendere!
 
Quanto appena affermato, ci può far intuire come nel paziente divenga possibile far emergere, laddove lo permettano le condizioni cliniche post-lesionali ovviamente, un movimento quali/quantitativamente valido, senza la necessità di doverlo costringere alla esecuzione forsennata e forzata di movimenti.

Nel procedere riabilitativo, risulta importante l'utilizzo ed il confronto con il lato "sano" (o meno interessato da una determinata lesione) e ove possibile con alcune esperienze pre-lesionali, in maniera tale da guidare l'attenzione del malato verso quelle informazioni, quei connotati fenomenologici, quegli aspetti intenzionali, che gli permettano di strutturare una specifica rappresentazione del gesto/interazione col mondo. Sarà questo procedere che aiuterà il malato a strutturare "nuove" rappresentazioni dal lato leso che lo possano guidare e fargliene avere conferma mediante il dialogo corpo/mondo, al fine di una organizzazione del corpo stesso adeguata all'azione.
Ci sono situazioni nelle quali resta complesso l'utilizzo di un lato leso e/o di una rappresentazione di una azione antecedente alla lesione (pensiamo alle patologie bilaterali o anche alle sindromi dolorose neuropatiche) e magari torna utile l'osservazione di una azione su una terza persona.

Questi concetti "teorici", esposti in maniera peraltro riassuntiva, non vogliono rappresentare una sorta di "come si fa", del resto sarebbe riduttivo e poco scientifico parlare di due o tre esercizi per dimostrare i correlati tra pratica e teoria.
Piuttosto, sarà importante tener conto di questi ed altri aspetti teorici non approfonditi in questa sede, per strutturare delle condotte terapeutiche specifiche per il malato.
Quanto espresso in questo scritto, perciò, non ha la pretesa di aver esposto tutto lo scibile presente in letteratura sugli studi dell'Immagine.
Ritengo interessante per approfondire le conoscenze sull'argomento, la lettura del testo di Paola Reggiani (1999), L'Immagine motoria come strumento per l'Esercizio Terapeutico. Ed. Bibiloteca A.R. Lurija (Forte dei Marmi, Lucca).

Nessun commento:

Posta un commento